A cura di Salvatore Tringali e Rosanna La Rosa Formato 22 x 28 cm, rilegato a filo refe con copertina rigida telata e sovracoperta, 174 pagine. Siracusa settembre 1993 Progetto grafico: Pietro Paolo Mincio
Scampato alla tempesta che il dio persecutore, Poseidone, gli ha scatenato, senza più nave e compagni, solo, nudo, lacero, i polmoni pieni di salmastro, Odisseo approda, per la foce di un fiume, nella terra dei soccorritori di naufraghi, dei Feaci, "che una volta abitavano nell'ampia Iperea, / vicino ai Ciclopi, uomini ultracotanti, / che li depredavano ed erano più forti. / Li tolse di 1à Nausitoo simile a un dio, li condusse / e insediò a Scheria...". E a Nausitoo successe Alcinoo, il re che accoglie nel suo palazzo l'eroe condotto dalla figlia Nausicaa.
All'inizio del Libro sesto dell'Odissea, felicissima, significativa metafora è la precisazione che fa il poeta dei Feaci, "che una volta abitavano vicino ai Ciclopi", esseri mostruosi, selvaggi, violenti, dei Feaci che lasciano la loro terra ed emigrano quindi a Scheria, dove fondano un regno d'utopia, realizzano un'alta civiltà (qui tutto è opposto al desolato, infecondo, periglioso mare, opposto ai passati approdi infidi e disastrosi: Alcinoo e il suo rigoglioso giardino, la sua fastosa reggia, la saggia moglie regina, i figli belli e valorosi, l'accogliente corte, il popolo amichevole; e l'esercizio nei Feaci della ragione, l'amore per la poesia, il canto, la danza, le gare sportive...).
Felice metafora perché il distacco dai Ciclopi vuol significare l'abbandono della natura caotica, minacciosa, distruttiva, e la volontà di immettersi nel cammino della ragione e della cultura, della convivenza regolata da leggi, in cui può fiorire l'armonia, il desiderio di bellezza e di poesia.
Fuor di metafora, fuori del mito omerico, e dentro la nostra fantasia, il nostro desiderio - consapevoli dell'arbitrio di trovare su mappe e carte i luoghi reali d'un poema fantastico qual è 1' Odissea, - lasciati i Ciclopi, che da Tucidide in poi sono stati collocati sulle falde dell'Etna, facciamo approdare i Feaci nella costa tra punta Izzo e la penisola Magnisi, nel Golfo tra Tapso e Megara Iblea. Qui facciamo approdare il naufrago Odisseo. Perché qui, oltrepassato il Simeto, lasciato alle spalle il cratere fumante, la zona nera e tremenda dell'Etna, comincia la zonabianca, calcarea, la docile terra dove si ara e si semina, s'innesta l'olivo, s'apparecchiano arnie. Uno dei luoghi Megara dove, fuor di fantasia e dentro la storia, approdarono i primi coloni venuti dalla Grecia, da Micene, Megara Nisea, Calcide, Corinto, espandendosi poi nel vasto spazio, nella grande ricchezza della Trinacria per fondare le loro città, i loro regni d'utopia.
Nell'opposizione ciclopica, nella serena luce feacica abbiamo sempre pensato la nascita e il prodigioso sviluppo di città come Siracusa, in cui soggiornavano Platone ed Eschilo, venivano a poetare Pindaro, Simonide, Bacchilide, di città come I,eontini, Akrai, Camarina, Gela; abbiamo pensato il formarsi, lungo d corso dei secoli, dei millenni, i paesi del Siracusano, dell'altopiano ibleo.
Sulla grande, potente Siracusa, sulla città d'antichi templi ed i teatri, fortezze, mura, chiese, con venti, lato mie, catacombe> sulla città di Atena e di Lucia, della ragione e della fede, sui paesi teocritei e virgiliani della costa e dei monti tagliati da cave, solcati dai fiumi che si chiamano Acàte, Ippàri, Tellaro, Cassibile, Anàpo, Asinaro, sulle terre scandite dalla bianca geometria dei muri a secco, sui campi dell'ulivo, del mandorlo e del miele, s'abbatté ancora una volta la furia dei Ciclopi, la forza distruttiva della natura, la vendetta di Poseidone, lo scuotiterra.
Dall’introduzione di Vincenzo Consolo.