Rischio sismico e patrimonio chiesastico Siciliano

Cinque casi nel sud-est.

Intervento dell’Arch. Salvatore Tringali al Convegno.

Come spesso accade i danni che si producono, a seguito di un evento sismico, negli edifici in muratura sono la concausa di più fattori; quelli più frequentemente riscontrati sono l’effetto di modifiche strutturali, apportate in epoche successive alla prima fondazione dell’edificio, che spesso risultano essere realizzate in contrasto con la corretta regola dell’arte ed in difformità ai regolamenti vigenti: sopraelevazioni, rifacimenti di intere porzioni di fabbrica, con il ricorso a tipologie strutturali difformi da quelle originarie e spesso incompatibili con esse, eliminazione di muri portanti, sostituzione di tetti in legno con solai in cemento armato o in latero-cemento e conseguente realizzazione di cordoli di coronamento in calcestruzzo armato, ecc….
Osservando i danni prodotti da un sisma, spesso ci si interroga sui motivi della diversa risposta sismica di edifici contigui o comunque prossimi tra loro, che reagiscono all’onda sismica in maniera totalmente differente, non subendo gli stessi danni. La risposta va ricercata nella correlazione tra natura dei terreni di fondazione, tipologia strutturale e rispondenza della costruzione alla cosiddetta “regola dell’arte”,
I terremoti non si possono prevedere, questo è un dato certo, ma la vulnerabilità sismica degli edifici si.
E’ questo il tema da sviluppare.
Cominciando a studiare gli effetti che ha prodotto il terremoto dell’Abruzzo sugli edifici in muratura si ha evidenza di quelli che possiamo ipotizzare come “errori costruttivi”, commessi nel tempo dall’uomo, spesso inconsapevolmente, attraverso interventi di rifacimento e/o sostituzione apparentemente“risolutivi”, frutto dell’applicazione di tecniche edificatorie e materiali a volte incompatibili con la tipologia muraria originaria, e alle quali oggi si deve porre riparo con la dovuta fermezza.
A seguito di alcuni sopralluoghi nell’area colpita dal terremoto dell’aprile u. s. e sulla base di un’analisi intuitiva, condotta con la vista diretta abbiamo potuto osservare alcuni edifici storici secondo la seguente classificazione schematica, operata in base ai danni riscontrati:
Edifici nei quali sono stati in precedenza eseguiti interventi di consolidamento poco compatibili con la struttura muraria originaria, nei quali il sisma ha prodotto danni rilevanti ed in parecchi casi anche crolli.
Edifici consolidati, attraverso tecniche idonee e materiali compatibili, i quali hanno resistito all’onda sismica, subendo danni limitati.
Edifici che non hanno subito nel tempo alcun intervento di consolidamento, tra i quali abbiamo distinto quelli le cui buone caratteristiche costruttive, (ben dimensionati, costruiti secondo la corretta regola dell’arte e con materiali idonei e di buona qualità) hanno consentito di rispondere bene all’onda sismica, riducendo i danni a quelli cosiddetti fisiologici, e quelli invece le cui caratteristiche costruttive scadenti (povertà dei materiali di costruzione, errori costruttivi, sottodimensionamenti ecc.) hanno fatto sì che fossero estremamente vulnerabili, per cui il sisma ha prodotto danni di notevole entità ed in alcuni casi anche crolli.
In alcuni edifici in muratura dell’Aquila, i maggiori danni sono stati causati dagli irrigidimenti sommitali e verticali, realizzati a partire dagli anni ’50, con travature e pilastri in cemento armato, in un’ ottica di “miglioramento strutturale” che, come abbiamo potuto constatare, si è rilevato scorretto. Vedasi il caso della Fortezza Spagnola, dove il crollo si è verificato proprio nella parte in cui, era stato eliminato il tetto originario in legno e sostituito con un tetto in latero-cemento, apparecchiato su un cordolo sommitale in cemento armato.
Dalle prime ricognizioni tra gli edifici in muratura danneggiati si è avuta la riprova di quelle che ormai costituiscono, per gli addetti ai lavori, delle certezze, ossia gli effetti negativi che il cordolo sommitale in cemento armato determina, in caso di sisma, sulle murature, producendo un’azione di martellamento e conseguente sfaldamento delle murature sottostanti soprattutto nel caso di murature di scarsa qualità.
Altro tema è quello degli irrigidimenti da apporre alle costruzioni in muratura sia in fase costruttiva che nelle successive fasi di restauro o ristrutturazione.
L’apposizione di tiranti in ferro, il cui uso ha salvato decine di facciate dal ribaltamento, come abbiamo potuto riscontrare in alcuni edifici de L’Aquila, rimane il presidio più efficace e meno invasivo.
Questi presidi hanno prodotto un buon effetto ovviamente laddove sono stati correttamente posizionati e si è in presenza di una muratura ben ammorsata e di buona qualità.
Nello specifico degli edifici indagati, allo stato, si è potuto notare che, nella maggior parte dei casi, i fenomeni di crollo non sono stati originati da problematiche collegate a cedimenti fondali.
Anche i tetti in legno spingenti hanno causato alcuni danni, come nel caso della scuola elementare De Amicis, dove nella parte della torretta è crollato il muro sommitale a causa della spinta delle teste delle travi che lo sostenevano.
Un primo sommario giudizio va necessariamente nella direzione di una maggiore ricerca della qualità del costruire e del ristrutturare, con il ricorso all’applicazione di tecnologie e presidi, anche abbastanza semplici, quali il buon ammorsamento delle murature, l’apposizione di catene in ferro o in legno, come abbiamo visto in molti edifici dell’Aquila, ma compatibili con la tipologia costruttiva del manufatto in esame, dove l’ancoraggio esterno, con bolzone, posto esternamente in corrispondenza delle teste delle travi delle capriate, costituisce una catena in legno del tutto efficace, come nel caso di Palazzo Camponeschi, sede della facoltà di Lettere.
Argomento totalmente diverso è l’analisi del crollo della Chiesa di S. M. Paganica a L’Aquila dove una serie di concause hanno prodotto il rovinoso crollo che per certi versi risulta essere uno dei più disastrosi, tra gli edifici religiosi di tutta la città del L’Aquila, quantomeno per ampiezza dell’area di crollo, avendo interessato praticamente tutta la superficie della chiesa, ad eccezione dei muri perimetrali.
Nel primo nostro sopralluogo a L’Aquila, qualche settimana dopo il 6 aprile u. s. alla visione delle rovine della Chiesa abbiamo immediatamente accostato il crollo di S. M. Paganica a quello della nostra Cattedrale S. Nicolò a Noto avuto il 13 marzo 1996 non per un terremoto ma per il cedimento strutturale di uno dei pilastri della navata destra.
I due edifici, a parte le cause diverse dei crolli, hanno, dal punto di vista della storia strutturale, molte similitudini negative in comune.
1)La realizzazione di tetti e cordoli in cemento armato in sostituzione dei vecchi tetti in legno
2)La mancanza di ammorsature e tirantature
3)La cattiva qualità dell’apparecchio murario.
Dopo aver visionato alcuni edifici danneggiati, accompagnati dall’Arch. Tempesta della Curia de L’Aquila, entrammo dalla porta principale della chiesa di S. M. Paganica e provammo la stessa sensazione di quando entrammo, la mattina del 14 marzo 1996, dall’abside, all’interno della distrutta Cattedrale di Noto.
La vista del cielo dentro la Chiesa.

Ovviamente scattò in noi, in maniera istintiva, la ricerca degli elementi di analogia tra i due monumenti collassati.
Verificammo subito che avevano avuto in comune il tetto in cemento armato, con molta probabilità realizzato nello stesso periodo, tra gli anni ‘50 e ’60, e che questo ha verosimilmente rappresentato, in entrambi i casi, la concausa dell’entità del disastro, non avendo in comune i due edifici la causa principale del disastro, che è il terremoto solo per S. M. Paganica.
La causa del crollo della Cattedrale di Noto, come infatti abbiamo potuto appurare nei successivi approfondimenti di indagine durati due anni, è stata l’esplosione del primo o del quarto pilastro della navata destra, mentre il tetto in cemento armato è stato l’acceleratore del crollo.
Per Santa Maria Paganica possiamo ipotizzare una concausa oltre che nel tetto in cemento armato anche nella qualità dell’apparecchio murario (questo problema è ricorrente nella maggior parte dei monumenti Aquilani ).
Altra causa potrebbe essere, naturalmente tutta da verificare, la diversa rigidità prodotta dalla presenza della torre di difesa del 1300, inglobata all’interno della struttura muraria della navata di destra e divenuta nel tempo torre campanaria.
Un particolare in comune per le due chiese riguarda la data del 1703 che rappresenta per Santa Maria Paganica la data di un terremoto a partire dal quale si fa risalire l’attuale assetto della Chiesa, oggi crollata.
Nello stesso 1703 inizia la costruzione del primo nucleo della Chiesa all’interno dell’attuale Cattedrale di Noto e quindi verosimilmente le costruzioni della Cattedrale di Noto e di Santa Maria Paganica a L’Aquila ebbero inizio contemporaneamente qualche anno dopo, 1703.
Santa Maria Paganica era stata ricostruita e ampliata con delle aggiunte e molto probabilmente all’epoca (1700) si pensò di risolvere il problema già noto della carenza degli apparati murari tramite l’ampliamento delle sezioni dei muri perimetrali e la realizzazione di contrafforti, nella maggior parte dei casi non ammorsati alle preesistenti murature, anche perché l’ampliamento riguardò la realizzazione delle due navate laterali e l’innalzamento della chiesa e del prospetto principale.

Senza entrare nella trattazione del progetto di ricostruzione della Cattedrale di Noto, condotto assieme all’ing. Roberto De Benedictis con il fondamentale contributo delle maggiori università italiane ed estere tra cui il Politecnico di Milano con la Professoressa Binda e l’università di Berkeley con il Professor Stephen Tobriner, in conclusione, possiamo riflettere su alcuni elementi cardini della ricostruzione della Cattedrale di Noto e del miglioramento strutturale della parte residuata al crollo.
Nuove sottofondazioni delle murature con archi rovesci in muratura armata.
Bonifica delle murature con iniezioni di malta di calce opportunamente studiate per questo edificio.
Interventi di ammorsamento tra murature accostate, come nel caso dei contrafforti esistenti con la navata di sinistra.
Riprogettazione del nuovo pilastro e sostituzione di quelli della navata sinistra.
Realizzazione di cordoli leggeri in muratura armata alla Giuffrè.
Ripristino dell’originario tetto in legno.
Consolidamento degli archi e delle cupole con fibre di materiale composito.

Avvenire 19.05.2009 pag. 11

«All’Aquila ricostruire come dopo il crollo di Noto» DA NOTO (SIRACUSA) VINCENZO GRIENTI
 
Montagne di travi, detriti sotto al sole e dal tetto crollato della Basilica Santa Maria di Col­lemaggio si intravede il cielo.  Una sensazione che ha sgomentato gli abitanti dell’Aquila e che l’architetto Salvatore Tringali, progettista e direttore dei lavori, assieme all’ingegnere Roberto De Benedictis, della ricostruzione della Cattedrale di Noto, perla del barocco siciliano, ha provato in prima persona come professionista e come uomo di fede. «Il cielo dentro la Cattedrale è l’immagine che ha segnato la mia vita dopo il grande disastro – spiega –. Seguendo le cronache di questi giorni, guardando le ferite degli altri beni monumentali ecclesiastici dell’Aquila, mi sembra di riandare indietro nel tempo, a quei primi giorni di desolazione e di tristezza, misti a un immediato senso di rivalsa, di ripresa, di speranza e di fede. Di per sé c’è una totale analogia tra San Nicolò a Noto e Santa Maria di Collemaggio all’Aquila – aggiunge Tringali –. Ben diversa è invece la situazione del resto della città, all’Aquila oltre ai monumenti sono crollate intere aree urbane. All’epoca del disastro, dopo il 13 marzo 1996, c’era pessimismo, o meglio, tanto fatalismo attorno a noi. Sembrava un incubo, forse lo stesso che stanno vivendo oggi gli aquilani. Anche allora seguirono polemiche, ci furono vicine le più alte cariche dello Stato, ma dopo, quando i riflettori naturalmente si spensero ci trovammo in pochi a ricominciare, a ricostruire e l’ottimismo non bastava. La fede e la volontà di ridare al Vescovo di Noto ed alla comunità laica e religiosa la Cattedrale distrutta – ricorda l’architetto – hanno fatto il resto». La comunità locale ha fatto quadrato, insomma, attorno ad un monumento che non rappresentava solo un bene culturale, ma principalmente un luogo di culto, di preghiera e la “cattedra” del vescovo. Al termine del processo di ricostruzione e restauro è possibile ammirare il frutto non solo di un lungo e difficile impegno durato sette anni, ma anche un lusinghiero risultato raggiunto per la bravura dei tecnici, delle maestranze, dagli uomini del ministero per i beni culturali, in particolare della Protezione Civile, guidata da Guido Bertolaso, del Commissario ad acta per la ricostruzione, del Prefetto di Siracusa. «L’esortazione che mi sento di fare alla comunità aquilana, che sta vivendo questo dramma, è quella di continuare e di non mollare, di andare avanti con la fede e con la preghiera, nella certezza che ciò che è crollato si ricostruirà come e meglio di prima ma non solo – prosegue l’architetto Tringali –: l’esperienza di Noto ci insegna che, anche in zone sismiche, oggi si può e si deve ricostruire in muratura, migliorando le strutture esistenti residuate dal crollo e ricostruendo le nuove in modo coerente e compatibile con quelle preesistenti al fine di evitare disarmonie strutturali magari con l’apposizione di presidi strutturali, quali fibre di carbonio e catene in acciaio, e con l’utilizzo di tecniche di costruzione oggi non consuete. Auguriamoci che anche nella basilica di Santa Maria di Collemaggio si possa ottenere un “Restauro Migliorativo” come per la Cattedrale di San Nicolò di Noto». L’architetto Salvatore Tringali: anche la Basilica di Santa Maria di Collemaggio può tornare all’antico splendore L’esperienza siciliana insegna che si può riedificare al meglio

Sindaco non consegni L’Aquila nelle mani di

“Sindaco, non consegni L’Aquila nelle mani di archistar come Fuksas”

da “IL GIORNALE” del 14/05/2009 pag.17

Con i forconi lo inseguono se lo incrociano, i cittadini di Foligno quel Fuksas che ha costruito l’orrida chiesa di via del Roccolo, vicino all’ospedale. Un altro orrido cubo dopo quello della biblioteca che ha danneggiato il centro storico della città peggio del terremoto. E ora l’ingrato sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, invece di studiare e praticare l’umiltà, si sveglia con la trovata più banale e più insensata: «Chiamare le archistar del pianeta, Renzo Piano, Isozaki, Fuksas, Calatrava… affinché L’Aquila risorga più bella di prima». Un bel coraggio dopo i mostri concepiti da alcuni di questi architetti presuntuosi, pronti come sciacalli a volteggiare sulle rovine.
Per compiere questo scempio Cialente è stato nominato dal governo «subcommissario per la ricostruzione del centro storico». Nessun dubbio che abbia tenuto fede alla sua carica con una proposta subnormale. Davanti alle rovine e alla catastrofe, un’idea come questa è propriamente un crimine, un incoraggiamento alla demenza e alla speculazione, una mortificazione della storia e della memoria.
Molti piccoli paesi sono stati quasi rasi al suolo dal terremoto, e lo stesso pensiero della ricostruzione è una minaccia per l’inevitabile congiura dell’ignoranza, della cupidigia, della presunzione.
La città dell’Aquila, ferita diffusamente ma con crolli soprattutto di edifici di costruzione recente, sembrava potersi difendere da sola chiamando interventi di ricucitura paziente. Ed ecco invece il sindaco in agguato, con la perversione di chi pensa che L’Aquila debba stupire, invece che continuare ad essere quello che è stata. Eppure a lui, come a Bertolaso, come al presidente della Regione Chiodi, andando nei luoghi della rovina ho indicato, fino allo spasimo, che il modello di costruzione c’era, ed era vicino, proprio in provincia dell’Aquila: il borgo antico di Santo Stefano di Sessanio, investito dal terremoto, ma rimasto perfettamente in piedi perché recuperato negli ultimi anni con metodo e pazienza e con materiali e forme originali. Altro che archistar. Il Genius loci e l’esempio di una paziente ricostruzione di un paese in rovina.
L’architetto, che ha molto studiato, e molto ama l’Abruzzo, non è un archistar. Si chiama Lelio Oriano Di Zio e da anni, con Daniele Kihlgren lavora per restituire integrità e stabilità a paesi perduti dell’Abruzzo. Il suo impegno è non nello stupire, ma nel ricostituire, riabilitare le architetture, come si fa con i malati, con attenzione, prudenza. Santo Stefano è facilmente visitabile per il sindaco dell’Aquila e per commissari e subcommissari che debbano decidere secondo quali metodi procedere alla ricostruzione. E, d’altra parte, lo stesso Bertolaso istituì una commissione per la ricostruzione della cattedrale di Noto che è stata condotta a termine, in modo esemplare, non da Isozaki o da Fuksas, ma da un bravo architetto siciliano che si chiama Salvatore Tringali.
Uomini attenti, prudenti e umili come Di Zio e Tringali dovrebbero essere chiamati, consultati e messi nelle condizioni di poter lavorare, come hanno già dimostrato, per il bene del nostro patrimonio architettonico. Non è consentito che avventurose scorciatoie o proposte inutilmente pubblicitarie mortifichino città e paesi che il terremoto ha ferito e che l’ignoranza degli uomini può uccidere.

Vittorio Sgarbi

 

Ricognizione sul luogo del terremoto

Prime considerazioni.

Come spesso accade i danni prodotti negli edifici in muratura, a seguito di un terremoto, sono la concausa di più fattori; quelli più frequentemente riscontrati derivano da interventi successivi alla prima fondazione dell’edificio, e spesso risultano essere realizzati al di fuori dei regolari permessi o in contrasto con la normale attività edilizia: sopraelevazioni, rifacimenti di intere parti con tipologie strutturali diverse dalle originarie, ristrutturazioni con eliminazione di muri maestri ancorché sostituiti con architravi, sostituzione di tetti con solai inclinati e conseguente realizzazione di cordoli in calcestruzzo armato, ecc….
Altra questione che si pone riguarda edifici contigui o comunque prossimi tra loro che non subiscono gli stessi danni e reagiscono all’onda sismica in maniera totalmente differente.
La risposta va ricercata nella correlazione tra la natura dei terreni di fondazione, la tipologia strutturale e la rispondenza della costruzione alla cosidetta “regola dell’arte”.
I terremoti non si possono prevedere, questo è un dato certo, ma la vulnerabilità sismica degli edifici si.
E’ questo il tema da sviluppare.
Incominciando a studiare gli effetti che ha prodotto il terremoto dell’Abruzzo su gli edifici in muratura si ha evidenza di quelli che possiamo ipotizzare come “errori costruttivi”, commessi, anche incosapevolmente, nel tempo attraverso uno o più interventi rifacitori e/o sostitutivi, all’apparenza “risolutivi”, frutto dell’applicazione di attività edificatorie totalmente incompatibili con la tipologia muraria originaria, e alle quali oggi si deve porre riparo con la dovuta fermezza.
Da una prima analisi sul campo i maggiori danni, in alcuni edifici in muratura dell’Aquila, sono stati causati dagli irrigidimenti sommitali e verticali realizzati con travature e pilastri in cemento armato, realizzati a partire dagli anni ’50, in un’ ottica “migliorativa” ma, come abbiamo potuto constatare, sbagliata. Vedasi il caso della Fortezza Spagnola dell’Aquila, dove il crollo si è verificato proprio nella parte in cui, è stato eliminato il tetto originario in legno e sostituito con un tetto in latero cemento, apparecchiato su un cordolo in cemento armato.
Dai primi sopralluoghi tra gli edifici in muratura danneggiati si è avuta la riprova di quelle che ormai rappresentano, per gli addetti ai lavori, delle certezze, circa gli effetti negativi che il cordolo sommitale in cemento armato determina, in caso di sisma, sulle murature con un’azione di martellamento e conseguente sfaldamento delle pareti sottostanti. Conseguenza vuole che, negli edifici in muratura, i tetti in legno sono preferibili ai tetti in cemento armato e/o in latero cemento ed i cordoli sommitali in muratura armata “alla Giuffrè”, sono preferibili a quelli più rigidi in cemento armato, risultando, i primi, più efficaci e non distruttivi in fase dinamica.
Altro tema è quello degli irrigidimenti da apporre alle costruzioni in muratura sia in fase costruttiva che nelle successive di restauro o ristrutturazione.
L’apposizione dei tiranti in ferro, il cui uso ha salvato decine di facciate dal ribaltamento, come abbiamo potuto riscontrare all’Aquila, rimangono oggi gli interventi meno invasivi e più efficaci.
Questi presidi hanno buon gioco ovviamente dove questi sono stati correttamente posizionati e laddove si è in presenza di una muratura ben ammorsata e di buona qualità oltre che di idonee strutture fondali. Inoltre si è potuto notare, che nella maggior parte dei casi, i fenomeni di crollo non sono stati originati da problematiche legate a cedimenti fondali.
I tetti in legno spingenti hanno causato alcuni danni, come nel caso della scuola elementare De Amicis dove nella parte della torretta è crollato il muro sommitale a causa della spinta delle teste delle travi che lo sostenevano. (Foto)
Un primo sommario giudizio va necessariamente nella direzione di una maggiore ricerca della qualità del costruire o del ristrutturare, con l’applicazione di tecnologie e presidi, anche abbastanza semplici, quali il buon ammorsamento delle murature, l’apposizione di catene in ferro o in legno come abbiamo visto in molti edifici dell’Aquila, ma compatibili con la tipologia costruttiva del manufatto in esame dove l’ancoraggio esterno, con bolzone posto esternamente nelle teste delle travi delle capriate, costituisce una catena in legno del tutto efficace, come nel caso della sede della facoltà di Lettere.
Per gli edifici non crollati occorre dunque un programma di interventi che metta in luce le discrasie strutturali e a partire dagli edifici storici è auspicabile, che si giunga in tempi brevi, alla redazione di un piano Nazionale per la sicurezza sismica; che attraverso precise direttive legislative preveda l’obbligatorietà della valutazione del rischio sismico negli edifici in muratura; piano che ovviamente dovrà essere supportato da un’adeguata capacità di spesa per i manufatti di proprietà dello Stato, e che preveda, il cofinanziamento e/o incentivi, per i privati per esempio con l’abbattimento totale degli interessi di mutuo per i lavori di adeguamento sismico.
Tale programma di intervento andrebbe avviato a partire dalle aree a più elevato rischio sismico, per poi essere esteso a tutto il territorio nazionale. Le ricadute positive sarebbero immediate sotto il profilo della prevenzione dei disastri con la conseguente limitazione di perdita di vite umane; inoltre un si fatto piano Nazionale di adeguamento o miglioramento sismico per gli edifici in muratura contribuirebbe alla creazione di nuovi posti di lavoro riscontrando il consenso totale degli italiani, non avendo questa proposta refluenza negativa sotto l’aspetto ambientale.
Salvatore Tringali

 

LCT Reportage Abruzzo

LCT nell’ambito della propria attività di studio e in ossequio al senso di solidarietà per le popolazioni colpite dal sisma, ha inviato una propria Task-Force in Abruzzo in due momenti successivi.

100MILA giardini di Sicilia

Catania dal 23 al 25 ottobre 2009.
L’evento 100Mila Giardini di Sicilia promosso da AIAPP Sezione Magna Grecia.  L’iniziativa intende mostrare le potenzialità del giardino, piccola tessera del mosaico-paesaggio, grande risorsa per l’economia, il turismo, il benessere. I tre giorni dell’evento comprendono un convegno, una mostra dei giardini di Sicilia realizzati dai migliori paesaggisti, visite guidate ai bellissimi giardini della zona e altre attività di promozione e sensibilizzazione. Il suo paesaggio contiene alcuni degli angoli più belli al mondo, dove il giardino ha raccolto le esperienze e il sapere di millenni di storia, di popoli e paesi diversi che ne hanno fatto il luogo della bellezza, dell’utilità e della poesia. Per riportare la Sicilia a essere un grande giardino, è necessario coltivare l’ideale del paesaggio. Attraverso il giardino, il paesaggio torna a essere un fatto quotidiano dove ognuno è chiamato a fare la sua parte: cittadino, politico o imprenditore. L’iniziativa 100Mila Giardini di Sicilia vuole quindi valorizzare queste tessere del mosaico, i giardini nel paesaggio. Come? Costruendo o riqualificando 100Mila giardini secondo le buone norme del costruire siciliano. Scegliendo tecnici e operatori competenti. Difendendo e diffondendo i valori del nostro paesaggio.

 

Chiesa Oggi N. 87 – Intervista Arch. Tringali

01/01/2009
Chiesa Oggi N. 87 – Intervista Arch. Tringali

Le immagini delle chiese rovinate, sconvolte, abbattute dal terremoto in Abruzzo, ricordano molto da vicino quelle della Cattedrale di Noto, dopo il crollo del 1996. Lo riferisce Salvatore Tringali, l’architetto che, con l’ing. Roberto De Benedictis, ha curato la ricostruzione.
«Con il sisma del 1990 – ricorda l’Architetto Tringali – la struttura restò lievemente danneggiata. A distanza di sei anni uno dei pilastri della navata destra rovinò al suolo causando un effetto a catena: caddero tutta la navata destra, la navata centrale, il transetto destro, la cupola e la lanterna; un’area di crollo di 1000 metri quadrati ».
– Quindi dall’esperienza di Noto si possono trarre indicazioni anche attinenti a quanto è accaduto in Abruzzo?
«Certamente. Gli effetti di questi eventi presentano molte similitudini. A causa delle scosse sismiche può accadere che si perda il collegamento tra gli elementi verticali e gli orizzontamenti: ne consegue che cedono gli elementi più vulnerabili: le volte, gli archi, le cupole e le coperture. Nella Cattedrale di Noto, in particolare, abbiamo scoperto un difetto strutturale originario, che ha costituito la causa lontana del disastro: i pilastri erano costruiti male e riempiti con grossi ciottoli tondeggianti, per questo esplosero sei anni dopo il sisma del 1990. Infatti gli effetti distruttivi degli eventi sismici si accumulano nel tempo: con le scosse si verificano micro lesioni nei materiali e leggeri distacchi, i quali costituiscono dei segnali di sofferenza delle strutture. Attraverso le lesioni poi possono insinuarsi infiltrazioni che hanno un effetto di lunga durata, con la conseguente perdita delle capacità di resistenza dei materiali. Per questo può avvenire, come a Noto, che si verifichino crolli anche a distanza di anni».
Può riassumere, quali elementi entrano in gioco determinando i danni nelle strutture storiche.
«L’intensità del sisma, il tipo di movimenti che questo imprime al terreno (sussultorio o ondulatorio), la distanza dell’organismo murario dall’epicentro, la qualità costruttiva della fabbrica e del sedime su cui essa poggia. Tutto questo assieme interagisce con la struttura, provocando conseguenze che variano a seconda della tipologia e della consistenza della stessa. Un edificio in cemento armato ha un comportamento diverso da quello di una struttura storica in muratura. Ogni tipologia costruttiva risponde in modo differenziato agli eventi sismici: ma, in ogni caso, è di fondamentale importanza la qualità costruttiva e materica del manufatto, a prescindere dalla sua anzianità. Non è detto che una chiesa quattrocentesca in pietra o in muratura non possa resistere ad eventi sismici che causano forti danni in strutture più recenti. Gli edifici in muratura sono caratterizzati da un insieme di giunti che si configurano come micro cerniere. Per meglio dire: ogni singolo concio di colonna, pilastro, contrafforte, muro portante può subire un determinato spostamento a causa dell’energia sismica. Tutti questi movimenti infinitesimi frazionano e assorbono progressivamente l’energia sismica. Il crollo avviene là dove la somma di questi spostamenti provoca la rottura di un importante elemento strutturale: per esempio, là dove un arco si apre».
– Ma da secoli si usano sistemi preventivi, quali le catene….
«Infatti. Nella ricostruzione della Cattedrale di Noto siamo ricorsi a questi presidi ormai storicizzati. Per evitare di introdurre elementi incoerenti con le parti restanti dell’edificio (circa il 30 per cento: il crollo ha infatti interessato quasi il 70 per cento della struttura), abbiamo studiato con attenzione i materiali e le tecniche costruttive dell’epoca e abbiamo recuperato sia gli uni che le altre, coniugandole nel contempo con le più avanzate tecnologie nel campo del restauro, del recupero e del miglioramento sismico. Abbiamo fatto riaprire le cave da cui provenivano le pietre, così da ricostruire le parti crollate della fabbrica, un volume di 25.000 mc., con il materiale originario e abbiamo utilizzato catene e cordoli in muratura armata “alla Giuffrè” per rendere più sicure le strutture in caso di sisma».
– Avete usato elementi di recupero?
«Solo per le parti decorative, non per quelle strutturali: infatti i conci dei pilastri risultavano fortemente danneggiati dal crollo ed è stato preferibile sostituirli con pietre integre appositamente cavate. Abbiamo anche studiato in laboratorio e realizzato la malta di calce più idonea al tipo di materiale impiegato. Essa costituisce infatti un elemento fondamentale nella costruzione: il legante tra gli elementi murari. Questa è stata analizzata con il supporto dei laboratori del Politecnico di Milano e le prescrizioni per riprodurla con le medesime caratteristiche sono state non solo seguite scrupolosamente, ma sottoposte a continua sorveglianza e controllo in cantiere, così da garantire che nel corso delle varie fasi della ricostruzione la qualità del materiale non cambiasse. Lo stesso è stato fatto con ogni altro elemento, quali le pietre. Solo continui controlli possono infatti garantire che non si verifichino variazioni nella composizione, e quindi nelle prestazioni dei materiali».
– Lo stesso vale per le tecniche costruttive?
«Certo, si tratta di tecniche antiche, che abbiamo recuperato sui manuali dell’epoca, reperiti in archivio (tenendo presente che nel 700 ogni zona aveva una propria tipologia costruttiva e quindi manuali propri) e applicato anche attraverso momenti di formazione in cantiere per insegnare alle maestranze impiegate come erigere muri ed edificare volte, seguendo esattamente le metodiche originarie e mettendo a punto un vero e proprio protocollo procedurale. Infine abbiamo sottoposto a continui controlli le varie fasi ricostruttive del cantiere, acquisendo un know-how sul campo, che mettiamo a disposizione. Ma non si creda che sia stata semplicemente una riproposizione dell’antico. Come ha giustamente sancito il compianto Direttore dell’Istituto Centrale di Restauro, prof. Michele Cordaro, si è trattato di una “Ricostruzione migliorativa”».
– Che cosa vuol dire?
« Nel caso in specie, spiega l’architetto Tringali, si è superato il concetto di pura conservazione; partendo dall’analisi critica di ciò che non era crollato, sono state individuate quelle qualità che potessero consentire alla Chiesa di resistere a terremoti di notevole entità e nel contempo si sono apportate le necessarie correzioni ai difetti riscontrati.
E’ stato compiuto quindi un percorso a ritroso verso la riappropriazione di tecniche e materiali, che nel Settecento facevano parte del sapere di ogni architetto e di ogni capomastro, ma che oggi sono andate in parte perdute o per lo più dimenticate.
In altre parole la ricostruzione della Cattedrale di Noto ha segnato la riapertura di un cantiere del Settecento nel quale materiali millenari, come la pietra calcarea, si sono coniugati con altri più moderni ed innovativi, quali le fibre di carbonio, e dove le antiche tecniche sono state supportate dalle tecnologie più avanzate, come quella utilizzata per sostituire, nella navata sinistra, i pilastri non crollati. La sommatoria di tali principi costituisce il nuovo concetto di “restauro migliorativo” applicato per la prima volta nella ricostruzione della Cattedrale di Noto, che, costituisce oggi, un esempio unico di ricostruzione di un monumento, interamente in muratura, in zona sismica. Per esempio nel ricostruire i pilastri abbiamo realizzato la struttura esterna di questi con pietre squadrate, perfettamente ammorsate con dei ricorsi, cioè con elementi trasversali che collegano le pareti esterne degli stessi, e riempito i vuoti interni con materiale informe della stessa natura, perfettamente costipato ed ingranato. Avendo scoperto il difetto originario di tali pilastri, abbiamo anche dovuto sostituire gli altri pilastri rimasti in piedi: uno alla volta, affiancandoli con una struttura metallica su cui è stato trasferito il peso delle murature soprastanti per tutto il tempo necessario per lo smontaggio e la ricostruzione del pilastro stesso. Abbiamo posto catene tra gli archi e le pareti opposte, cordoli di muratura armata a coronamento delle murature e cerchiature alla base e a due terzi dell’altezza della cupola, sono questi infatti i punti critici per la solidità strutturale. Per cerchiare archi, cupolini, cupola, e lanterna, abbiamo utilizzato le fibre di carbonio, ausilii tecnologicamente avanzati, leggeri e sottili ma al tempo stesso altamente resistenti, non soggetti ad alterazione nel tempo, che si celano facilmente sotto gli intonaci, assicurando una resistenza strutturale notevole in caso di sisma».

Bell’Italia

N°272 – Bell’Italia dedica un articolo intitolato “Noto. La Regina del barocco” alla Ricostruzione della Cattedrale per mano di LCT Architettura

Domus Aurea Magazine

EVENTI SISMICI – Prevedibilità, prevenzione e norme antisismiche. La rivista Domus Aurea Magazine dedica un articolo al crollo della cattedrale di Noto prima dell’intervento dello Studio LCT.